L'Ambasciata etiope scrive alle Ong italiane per confutare Survival
2 maggio 2011
Questa pagina è stata creata nel 2011 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.
In 19 aprile 2011, l’Ambasciata etiope in Italia ha inviato una lettera alle associazioni italiane che hanno sottoscritto la petizione contro la diga Gibe III lanciata da Survival in collaborazione con Campagna per la Riforma della Banca Mondiale-Mani Tese, Counter Balance coalition, Friends of Lake Turkana e International Rivers.
Nella lettera, l’Ambasciata etiope contesta le affermazioni e le preoccupazioni espresse da Survival accusandola di “voler ostacolare la lotta del popolo etiope contro la povertà e la perpetua dipendenza dagli aiuti alimentari” e chiede alle associazioni firmatarie di cambiare la loro posizione dando “pieno sostegno al progetto Gibe III”.
Qui di seguito Survival risponde alle principali accuse mosse dall’Ambasciata.
AMBASCIATA ETIOPE: ‘La campagna (di Survival) condanna la popolazione della valle del fiume Omo a vivere in condizioni di povertà e arretratezza perpetue…’
Le tribù della valle dell’Omo non sono arretrate – hanno sviluppato stili di vita efficaci e coerenti al contesto della terra e delle risorse che le circondano. Questi popoli hanno lo stesso diritto all’autodeterminazione di chiunque altro, tra cui quello di decidere liberamente quali forme di “industrializzazione” adottate o meno.
Attualmente, queste tribù sono ampiamente autosufficienti ma, se la diga interromperà i flussi naturali delle esondazioni del fiume e, con esse, l’agricoltura da recesso che è cruciale per la loro sopravvivenza, allora diventeranno dipendenti dagli aiuti umanitari. L’esperienza maturata da Survival in oltre quarant’anni di attività dimostra che quando un popolo viene forzato in una posizione di dipendenza, le sue aspettative di vita e il suo stato di salute precipitano.
In ogni caso, dai documenti pubblicati non emergono chiare indicazioni sul fatto che la diga porterebbe “scuole” e “strutture sanitarie” nell’area. E tali infrastrutture sarebbero in ogni modo di ben poca utilità se, per potervi accedere, le tribù saranno costrette a rinunciare alla capacità di sostentarsi autonomamente.
La diga Gibe III e i progetti ad essa associati – ovvero lo sviluppo di piantagioni e schemi d’irrigazione su larga scala – avranno un impatto profondo sui popoli della valle dell’Omo, che non sono stati adeguatamente informati in merito e non hanno avuto alcuna possibilità di determinare il proprio futuro.
AMBASCIATA ETIOPE: ‘In alcun modo qualsiasi progetto in qualsiasi località può essere attuato senza previa consultazione della popolazione interessata.’
È vero: secondo la Costituzione etiope, è illegale implementare progetti come quello di Gibe III senza aver prima consultato le popolazioni colpite (articolo 92.3), ma in questo caso è esattamente quel che è successo. Le tribù colpite non sono mai state adeguatamente consultate in merito né hanno fornito al progetto il loro preventivo, libero e informato consenso, così come previsto anche dalla legge internazionale.
Secondo la legge etiope, è anche assolutamente vietato dar inizio alla realizzazione di un progetto prima dell’esame e dell’approvazione dell’Autorità per la protezione dell’ambiente (EPA). Ma nel caso di Gibe III, il progetto ha avuto inizio nel dicembre 2006 mentre le autorizzazioni dell’EPA sono state emesse solo nel luglio 2008. Ed è solo nell’aprile del 2008 che è stato pubblicato uno studio d’impatto sociale e ambientale a valle della diga.
Dopo aver visitato l’area nel gennaio del 2009, l’USAID rese noto che erano “necessarie altre consultazioni”. Tuttavia, le consultazioni sono prive di significato se i consultati non hanno realmente il potere di influenzare il destino del progetto. Nel 2009 il governo ha sciolto 41 gruppi comunitari tra cui l’organizzazione dei Mursi rendendo di fatti impossibile l’organizzazione e lo scambio di informazioni tra le tribù in merito alla diga.
AMBASCIATA ETIOPE: ‘Il numero delle persone interessate dal progetto (PAP) in termini di perdita di beni e proprietà ammonta a 355 famiglie…’
Questo dato, citato nello studio d’impatto del 2009, si riferisce solo alle persone che vivono a monte della diga, le cui terre saranno occupate dal bacino dell’impianto. Lo studio d’impatto va anche oltre affermando che “intorno alla diga Gibe III e al suo bacino non ci sono popoli tribali o minoranze etniche i cui tradizionali stili di vita potrebbero essere compromessi dal proposto progetto idroelettrico. Di conseguenza, non è richiesto nessun piano di sviluppo per i popoli indigeni”. Ma anche nel sito ufficiale della diga realizzato dallo stesso governo etiope si legge che “I gruppi etnici Dasanech, Karo, Hamer, Mursi, Murle, Mugugi e Nyangatom dipendono dalle esondazioni e dalle coltivazioni al delta del fiume… e quindi [il progetto] potrebbe colpire 100.000 persone”.
Survival ritiene che il numero reale degli indigeni colpiti in Etiopia si aggiri sulle 200.000 unità, mentre USAID stima che la diga colpirà altre 500.000 persone sul fronte keniota. Il governo ha ammesso di non aver completato un studio di impatto globale comprendente gli effetti a valle della diga, fino al Kenia.
AMBASCIATA ETIOPE: ‘La diga “garantirà la regolarità della portata del fiume e garantirà agli abitanti un aumento della disponibilità di cibo, pesca e animali da pascolo.’
Le piene stagionali del fiume sono d’importanza vitale per tutte le tribù della valle dell’Omo. La regolazione della portata delle acque e l’eliminazione delle piene avrebbero effetti disastrosi sull’agricoltura alimentata dai fenomeni alluvionali, cruciale per la sopravvivenza delle tribù. È improbabile che le proposte “piene artificiali” possano compensare, perché la prevista durata del rilascio delle acque (10 giorni) sarebbe insufficiente a raggiungere tutte le aree ora interessate dal fenomeno e a garantire il depositare dei sedimenti fertili. Inoltre lascerebbero le tribù alla mercè degli operatori della diga, in aperto conflitto d’interesse.
La ditta appaltatrice della diga, Salini Costruttori, ha già ammesso che le ‘piene artificiali’ sarebbero effettuate solo come misura temporanea, per ‘un periodo transitorio lungo quanto si riterrà opportuno, per il passaggio dall’agricoltura di recesso a forme più moderne di agricoltura’. Ma le tribù non sono state adeguatamente consultate su tutto ciò. In ogni caso, è probabile che questo dibattito si spenga rapidamente lo stesso. All’inizio dell’anno, infatti, il primo ministro Meles Zenawi ha annunciato il progetto di irrigare 150.000 ettari di terra della bassa valle dell’Omo per svilupparvi piantagioni di canna da zucchero. Le piantagioni occuperanno inevitabilmente le terre delle tribù. Questo progetto è una chiara esemplificazione dei piani governativi che mirano a convertire vaste aree della regione in terreni agricoli su larga scala, con l’aiuto della diga Gibe III. I popoli tribali saranno derubati delle loro terre e le aree più fertili della zona saranno cedute agli investitori stranieri. Alle tribù non resterà nessuno spazio in cui coltivare i loro prodotti o pascolare
le loro mandrie.
AMBASCIATA ETIOPE: ‘La diga Gibe III “aumenterà il livello delle acque del lago Turkana.’
Un rapporto commissionato dalla Banca Africana di Sviluppo dimostra che il livello del lago Turkana si abbasserà di almeno due metri durante la fase di riempimento del bacino della diga. Oltre a ciò, lo studio specifica che “le vere incognite sui livelli del lago dipendono dagli effetti cumulativi di altri progetti d’uso del bacino dell’Omo, e in particolare dallo sviluppo di un vasto piano d’irrigazione”.
Come spiegato al punto sopra, Meles Zenawi ha già annunciato il progetto di sviluppo di un vasto sistema di irrigazione della valle e ciò avrà un enorme impatto sulle comunità che vivono attorno al lago e che dipendono dalle sue acque per pescare, allevare il bestiame e irrigare i loro raccolti.
AMBASCIATA ETIOPE: ‘La produzione agricola annuale nella regione del fiume Omo copre solo dai tre ai sei mesi del fabbisogno annuo, per la restante parte dell’anno si rendono indispensabili gli aiuti umanitari.’
Le tribù della valle dell’Omo sono largamente autosufficienti. Il periodo della coltivazione dura parecchi mesi e le eccedenze vengono accantonate per soddisfare i bisogni nel resto dell’anno. Se Gibe III sarà completata e vaste aree di terra indigena saranno cedute agli investitori stranieri, a molti popoli non resterà altra possibilità che quella di diventare permanentemente dipendenti dagli aiuti alimentari. Minacciare la sopravvivenza di questi popoli per vendere elettricità e biocarburanti ad altri paesi è inaccettabile.
Leggi la lettera inviata dall’Ambasciata etiope alle associazioni italiane (PDF, 205KB).
Leggi la lettera di risposta di Survival (PDF, 135 KB).