colera e AIDS nel Papua occidentale - condannata la risposta del governo
18 luglio 2008
Questa pagina è stata creata nel 2008 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.
Cresce la paura per la diffusione del colera tra i popoli tribali nel Papua occidentale. Missionari e attivisti per i diritti umani riferiscono che, negli ultimi tre mesi, sono già morte 85 persone.
La risposta delle autorità indonesiane, secondo cui il numero di morti sarebbe molto più basso, è stata vergognosamente inadeguata.
Il colera è una malattia altamente infettiva che può rapidamente risultare fatale se il paziente non viene trattato e idratato al più presto. Il fallimento del governo nel rispondere a questa emergenza determinerà, con ogni probabilità, molti altri decessi.
Da 45 anni, i Papuasi subiscono gravi violenze per mano dell’esercito indonesiano. Agli indigeni è proibito protestare contro ogni brutalità e coloro che chiedono il rispetto dei loro diritti vengono regolarmente torturati o uccisi. Stime molto prudenti indicano che dal 1963, anno dell’occupazione dell’isola da parte dell’Indonesia, i militari abbiano già ucciso 100.000 persone.
Molti ritengono che il governo stia rispondendo in modo molto inadeguato all’emergenza sanitaria proprio allo scopo di distruggere il popolo dei Papuasi. Un timore che ha reso la popolazione diffidente anche verso le cure mediche offerte dalle autorità. La sfiducia da parte della popolazione è tale da ritenere che l’esercito indonesiano stia anche deliberatamente introducendo l’HIV come strumento di genocidio. Le attività economiche avviate per lo sfruttamento delle risorse naturali dell’isola, infatti, brutalmente sostenute dall’esercito, hanno portato con se anche la prostituzione, con conseguente diffusione del contagio.
Nonostante le stime indipendenti indichino che i numeri forniti dal governo siano di gran lunga inferiori al reale, i dati ufficiali parlano di un’incidenza dell’HIV/AIDS già 15 volte superiore alla media nazionale.
Nelle sola regione di Punkak Jaya ci sono 4.200 persone ammalate, e i medici si aspettano che la percentuale cresca del 200% nei prossimi 5 anni. Nell’ospedale di Mulia sono recentemente morte 16 persone, tra cui bambini e adolescenti. L’informazione sanitaria è quasi inesistente nella regione e, quando sono giunti in ospedale, nessuno degli ammalati era consapevole della malattia.
Il Papua occidentale non è accessibile ai media internazionali e agli osservatori per i diritti umani; di conseguenza, governo ed esercito possono agire impunemente. In generale, solo una piccola parte del budget destinato alla sanità riesce ad arrivare alla popolazione indigena.
Paula Makabory, dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani Elsham, ha chiesto che il Papua occidentale si “apra al mondo esterno, in modo che si possano promuovere i diritti umani fondamentali, inclusi quelli ad un’adeguata assistenza sanitaria”. Auspica anche un ampliamento della libertà politica, in modo che le organizzazioni sanitarie possano aiutare le comunità locali a prevenire una vera e propria catastrofe umanitaria.
Intervistato da giornalisti australiani il 7 luglio scorso, Hassan Wirajuda, il Ministro agli Affari esteri indonesiano, ha difeso la decisione governativa di mantenere ristretto l’accesso all’area: “Vogliamo semplicemente che la gente possa vivere in pace […] Non dovete pensare che stiamo cercando di nascondere qualcosa”.
Leggi il rapporto di Survival sulla salute dei popoli tribali “Il progresso può uccidere”.