‘Il Mundial dimenticato’ scende in campo con Survival per i diritti indigeni. La provocazione alla Fifa
30 maggio 2012
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Survival, l’organizzazione internazionale per la difesa dei popoli indigeni, ha preso parte nei giorni scorsi alla campagna di lancio del film “Il Mundial dimenticato” con un video diffuso dai più importanti media, nel quale si chiedeva di “assegnare alla Patagonia l’organizzazione dei mondiali di calcio del 2026”.
Una palese provocazione, subito raccolta da chi conosce gli obiettivi e le finalità di Survival, lanciata per portare l’attenzione del pubblico sui popoli dimenticati del pianeta, che ancora oggi devono lottare per veder riconosciuto il proprio diritto a esistere e a essere ricordati.
Il film di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, ispirato a un’opera di Osvaldo Soriano, ricostruisce le pagine mancanti di una storia considerata “minore”, cancellata dalla memoria del mondo.
“Un film divertente, ironico, decisamente originale… La sua trama, non ha legami apparenti con la missione di Survival ma quando la produzione Verdeoro ci proposto di partecipare a questa campagna virale, abbiamo accettato con entusiasmo” spiega Francesca Casella, direttrice della sede italiana dell’associazione. “Il Mundial dimenticato ci offriva l’opportunità di parlare a un pubblico del tutto nuovo e di richiamare, in modo originale e provocatorio, la sua attenzione sui popoli dimenticati del pianeta e sui pregiudizi che li affliggono.”
Il Mundial dimenticato restituisce agli onori della storia le epiche gesta compiute dai Mapuche sul campo da gioco al fianco delle altre nazioni del mondo. In questo caso, è solo finzione letteraria. Nella realtà, i diritti fondamentali di tutti i popoli indigeni della terra continuano a restare in fondo all’agenda politica dei governi nonostante i moniti delle stesse Nazioni Unite, che definiscono le loro sofferenze come “i più silenziosi olocausti della storia dell’umanità”.
I popoli indigeni contano almeno 370 milioni di persone, circa il 6% dell’umanità. Abitano in ogni continente e hanno culture diverse, ma l’unica esperienza che tragicamente li accomuna tutti è l’invasione delle loro terre, iniziata secoli fa in un bagno di sangue e condotta ancora oggi con determinazione e cieca brutalità.
Le tribù della valle dell’Omo in Etiopia, i Papuasi in Nuova Guinea, i Nukak della Colombia, gli Innu del Canada e i Boscimani del Kalahari sono solo alcuni dei popoli costretti a confrontarsi quotidianamente con la minaccia di estinzione fisica o culturale. Particolarmente vulnerabili sono i popoli incontattati esposti alle violenze degli invasori illegali e alle malattie introdotte dall’esterno. “Quando i taglialegna li vedono” ha dichiarato recentemente Colin Firth in un appello di Survival a difesa degli Awá del Brasile, “li uccidono. Archi e frecce non hanno chance contro i fucili…”
Ma ad uccidere i popoli tribali sono anche gli stereotipi che, dipingendo gli indigeni come “primitivi”, “arretrati” o “selvaggi”, continuano inconsapevolmente a perpetuare i pregiudizi razzisti tipici dell’epoca coloniale e a giustificare alcune delle più gravi violazioni dei loro diritti: lo sfratto dalle terre ancestrali, la sedentarizzazione forzata, la negazione dei loro stili di vita e la cancellazione delle loro lingue, culture e identità. Discriminazioni razziali che per i Mapuche si traducono anche in una gravissima incidenza di arresti arbitrari.
“L’arma più efficace che abbiamo per contrastare con successo l’avidità e il razzismo che privano i popoli indigeni dei loro mezzi di sussistenza, delle loro terre e spesso anche della vita, è la pressione dell’opinione pubblica” prosegue Francesca Casella. “Portare alla luce le violazioni inflitte ai popoli indigeni e garantire loro l’attenzione dei mezzi di comunicazione è il primo passo da compiere per costringere governi e aziende corrotti a rispettare la legge e la giustizia. Ci auguriamo che tutti i fan di Mundial dimenticato e del gioco del calcio decidano di scendere in campo al nostro fianco, per assicurare la sopravvivenza dei popoli indigeni e garantire loro il legittimo posto nel mondo moderno.”