Una sconfitta e qualche successo dal retrogusto amaro

I Jenu Kuruba protestano fuori dal Parco Nazionale di Nagarhole, in India, da cui vengono sfrattati nel nome della conservazione. © Survival

Dopo un processo di negoziazione intenso e senza precedenti, che ha visto abbandoni e situazioni di stallo fino alla fine, il Quadro Globale per la Biodiversità (Global Biodiversity Framework, GBF) è stato finalmente adottato questa mattina alla COP15 a Montreal. Avrebbe dovuto definire un importante piano d'azione per la "protezione della natura" fino al 2030. Tuttavia, non è riuscito a compiere il passo coraggioso necessario per proteggere davvero la natura, ovvero riconoscere che i popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e che il modo migliore per proteggere la biodiversità è quello di proteggere i loro diritti territoriali.

Survival International, insieme a popoli indigeni e altre ONG, ha lottato instancabilmente per due anni per impedire che il target del 30% (il piano per trasformare il 30% del pianeta in Aree Protette entro il 2030, anche noto come 30x30) diventasse il più grande accaparramento di terra della storia. Non siamo riusciti a fermare l'adozione del target, sostenuto dalle forze più potenti del mondo, tra cui i governi del Nord globale e l'industria della conservazione. Tuttavia, abbiamo giocato un ruolo importante nel farlo diventare la parte più controversa del GBF, dimostrando che la "conservazione fortezza" – ovvero lo sfratto dei popoli indigeni e le violazioni dei diritti umani compiuti nel nome della protezione della natura – non potrà più essere tollerata come danno collaterale degli sforzi di protezione ambientale. E questa battaglia l’abbiamo vinta insieme alle organizzazioni indigene. Rispetto alla versione precedente siglata nel 20101, l’obiettivo del 30% adottato oggi non fa riferimento a una categoria di aree “rigidamente protette", come inizialmente proposto, e cita il riconoscimento e il rispetto dei diritti dei popoli indigeni. Si tratta di una netta differenza.

Purtroppo, però, anche se il linguaggio è ora un passo più avanti nella lotta per fermare gli abusi compiuti nel nome della conservazione, restiamo ancora molto lontani da un reale cambiamento di quel modello di conservazione che solo nel continente africano ha portato allo sfratto di almeno 14 milioni di persone. In un potente intervento dell'ultimo minuto, l’International Indigenous Forum on Biodiversity (IIFB) ha chiesto che i territori indigeni rientrassero nel calcolo del raggiungimento del target del 30% ma la sua richiesta è stata respinta, principalmente dai paesi europei, nonostante numerose prove dimostrino che i popoli indigeni proteggono le loro terre meglio di chiunque altro e che i loro territori dovrebbero essere uno strumento cruciale nella protezione della biodiversità. Abbiamo avuto così l’ennesima conferma che, nella conservazione, la mentalità coloniale secondo cui gli "ambientalisti occidentali" "sanno ciò che è meglio" è sempre viva e vegeta.

Abbiamo vinto anche un’altra battaglia: quella per impedire che i riferimenti ai diritti degli indigeni venissero confinati in una premessa inapplicabile. Ora, infatti, una sezione introduttiva (la sezione C) chiarisce che, per l’attuazione del Quadro, il nuovo piano deve garantire che i diritti, le visioni del mondo, i valori e le pratiche dei popoli indigeni e delle comunità locali siano rispettati, in linea con la Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni. L’inserimento di questa affermazione nel GBF è un importante passo avanti, ma restano molti interrogativi su quel che accade se e quando questi obblighi non vengono rispettati.

Non è stato incluso nel GBF lo slogan "Nature positive", tanto amato dall'industria della conservazione e dalle grandi imprese. Ma resta purtroppo un altro slogan, vuoto e pericoloso, quello delle Soluzioni Basate sulla Natura (NBS) (Target 8 e Target 11). I paesi europei promuovono le NBS come meccanismi di mitigazione che, come abbiamo mostrato, porteranno però solo a ulteriori furti di terra e violazioni dei diritti umani senza contribuire in alcun modo a frenare i cambiamenti climatici.

I target miranti ad affrontare le cause alla base della perdita di biodiversità sono molto deboli e non saranno efficaci, dimostrando ancora una volta che l'industria della conservazione e i suoi sostenitori sono ben felici che altri, di solito gli indigeni e le popolazioni locali nel Sud del mondo, subiscano violazioni dei loro diritti nel nome della conservazione, ma non altrettanto desiderosi di combattere contro le cause maggiori della perdita di biodiversità, come il sovra-consumo trainato dal Nord.

Come al solito, il Nord globale non si è assunto alcuna responsabilità della distruzione dell'ambiente e ha addossato l'onere al Sud, con il sostegno dell'industria della conservazione che ha tutto da guadagnare dai soldi stanziati per altre Aree Protette e false Soluzioni Basate sulla Natura.

Questo Quadro non è riuscito a proteggere la biodiversità e la giustizia, e potrebbe ancora tradire i popoli indigeni se, come abbiamo detto prima, le promesse di rispettare i diritti indigeni saranno ignorati dall'industria della conservazione alimentando drammatici abusi nel nome della "protezione della natura”.

“Quello che abbiamo visto accadere a Montreal dimostra che non possiamo fidarci che l'industria della conservazione, le aziende e i paesi potenti facciano la cosa giusta” ha dichiarato Fiore Longo, direttrice della campagna di Survival per decolonizzare la conservazione. “Continueremo a lottare per il rispetto e il riconoscimento dei diritti territoriali indigeni. Chiunque abbia a cuore la biodiversità dovrebbe fare lo stesso. Continueremo a monitorare da vicino l'attuazione dell'accordo per garantire che l'industria della conservazione si attenga rigorosamente ai nuovi requisiti per il rispetto dei diritti dei popoli indigeni.”

 

1Target 11 di Aichi: “Entro il 2020 almeno il 17% delle terre e delle acque interne, e il 10% delle aree marine e costiere, in special modo le aree di particolare importanza per la biodiversità e per i servizi ecosistemici, sono un sistema conservate attraverso gestito in maniera equa, ecologicamente rappresentativo e ben collegato di aree protette e altre misure efficaci basate sul territorio e integrate nel più ampio paesaggio terrestre e marino.”

 

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