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A rischio genocidio per malattie e furti di terra
Nelle profondità della foresta amazzonica brasiliana vivono popoli indigeni che non hanno contatto con il mondo esterno.
Allevatori di bestiame e taglialegna illegali stanno invadendo le loro terre, portando con sé malattie. Se tutto questo non cesserà, non sopravviveranno.
Nell’Amazzonia brasiliana abitano più popoli incontattati che in qualunque altra regione del mondo. Stando alle stime del Dipartimento governativo agli affari indigeni, il FUNAI, i gruppi isolati sarebbero almeno 100.
La loro decisione di non avere contatti con altri popoli indigeni e con gli esterni è quasi certamente il risultato di incontri disastrosi avvenuti in passato e del reiterarsi delle invasioni e della distruzione della loro foresta ancestrale.
Per esempio, i gruppi incontattati che vivono nello stato di Acre sono probabilmente sopravvissuti all’epoca del boom del caucciù, durante la quale molti indigeni furono ridotti in schiavitù.
È probabile che i sopravvissuti siano fuggiti risalendo i fiumi. I ricordi delle atrocità commesse contro i loro antenati potrebbero essere ancora molto forti.
Di questi popoli sappiamo molto poco. Ma sappiamo con certezza che vogliono rimanere incontattati: rispondono agli esterni e agli aerei scoccando contro di loro delle frecce, o semplicemente nascondendosi nel folto della foresta.
© G. Miranda/FUNAI/Survival
Alcuni, come gli Awá incontattati, sono cacciatori raccoglitori nomadi. Si spostano costantemente e sono in grado di costruire una casa in poche ore per poi abbandonarla dopo qualche giorno.
Altri sono più sedentari e vivono in case comunitarie. Cacciano, pescano e coltivano manioca e altre piante in radure della foresta.
Si pensa che nel territorio Massaco vivano almeno 300 indigeni incontattati. Utilizzano archi e frecce molto grandi (è stato trovato un arco di oltre 4 metri!) molto simili per stile e dimensione a quelli del popolo Sirionó, che vive nella confinante Bolivia. Amano sicuramente mangiare tartarughe perché in alcuni accampamenti abbandonati sono stati trovati cumuli di gusci.
Altri gruppi incontattati si trovano invece sull’orlo dell’estinzione e non contano più di una manciata di individui.
Questi piccoli gruppi frammentati vivono principalmente negli stati di Rondônia, Mato Grosso e Maranhão; i loro membri sono i sopravvissuti ai violenti furti di terra compiuti da trafficanti di legname, allevatori e altri invasori, che hanno preso di mira e assassinato molti dei loro famigliari.

il funzionario del FUNAI José Carlos Meirelles
con frecce appartenenti a indigeni incontattati.
© Gleison Miranda/FUNAI
Oggi c’è chi dà ancora loro la caccia, deliberatamente, mentre le foreste in cui abitano vengono distrutte rapidamente.
Gravi minacce vengono anche dai progetti di costruzione di grandi dighe e strade, previste dal “programma di crescita accelerata” (PAC) del governo.
Tutti i popoli incontattati sono estremamente vulnerabili a malattie trasmessi dagli esterni, come l’influenza o il comune raffreddore, verso cui non hanno difese immunitarie: un buon motivo per evitare il contatto.
Malgrado questo scenario cupo, esistono anche sorprendenti storie di sopravvivenza. Come quella di Karapiru, un uomo Awá sopravvissuto all’attacco di alcuni sicari, che ha vissuto da solo – nel folto della foresta – per dieci anni, fino a quando non entrò in contatto con alcuni coloni e riuscì poi a tornare a vivere con altri Awá. È morto di Covid-19 nel 2021.
I popoli incontattati del Brasile devono essere protetti e i loro diritti alla terra riconosciuti prima che loro, e le foreste da cui dipende la loro sopravvivenza, siano cancellati per sempre.
Minacce
Più e più volte il contatto è stato disastroso per i popoli incontattati del Brasile. Questi popoli estremamente isolati non hanno difese immunitarie verso malattie che altrove sono comuni, e per questo sono particolarmente vulnerabili.
Spesso succede che, nell’anno successivo al primo contatto, il 50% di un popolo venga annientato da malattie come il morbillo e l’influenza, importati da taglialegna, missionari, cercatori d’oro e altri accaparratori di terre.
La popolazione dei Matis è una di quelle che si sono dimezzate dopo il primo contatto. Le malattie introdotte dagli invasori hanno sterminato i suoi giovani, gli anziani e anche gli sciamani.
Lo sviluppo di attività economiche nelle terre in cui vivono i popoli incontattati genera frequentemente conflitti e scontri violenti, che mietono vittime sia tra gli esterni, ma molto più spesso fra gli indigeni.
Gli ultimi tre membri del popolo Akuntsu sono sopravvissuti agli attacchi brutali di allevatori che hanno massacrato tutti gli altri membri del loro popolo e distrutto le loro case con i bulldozer.
Non sono sconosciuti
In tutto il mondo ci sono popoli incontattati che hanno scelto di rimanere isolati dalla società nazionale o anche dagli altri popoli indigeni.
Ma questo non significa che siano “sconosciuti” o “immutati” nel tempo. Nella maggior parte dei casi la loro esistenza è nota e, nonostante il loro isolamento, si adattano continuamente ai cambiamenti circostanti.
Molti gruppi hanno contatti occasionali, a volte ostili, con i popoli vicini. E sono ben consapevoli di essere circondati da altre società. Spesso, gli indigeni che vivono nelle vicinanze e il FUNAI sanno approssimativamente dove si trovano.
Sin dal 1987 il FUNAI gestisce un dipartimento dedicato agli indigeni incontattati e la sua politica è quella di evitare il contatto. Il FUNAI cerca di demarcare e proteggere le loro terre dalle invasioni attraverso la creazione di avamposti di protezione in cui operano funzionari sul campo che monitorano e contrastano le invasioni.
Condizione indispensabile alla loro sopravvivenza è quella che la loro terra, cui hanno diritto secondo la legge nazionale e internazionale, sia protetta.
Il contatto dovrebbe avvenire solo quando e dove i popoli isolati decideranno di essere pronti a stabilirlo.
Gli ultimi sopravvissuti
Di alcuni popoli incontattati sopravvivono oggi solo gli ultimi membri. Ecco alcuni dei più minacciati.
I Piripkura, Mato Grosso
Non conosciamo il nome che si è dato questo popolo ma i suoi vicini, gli indigeni Gavião, li chiamano Piripkura (“popolo farfalla”) alludendo al modo in cui si spostano continuamente nella foresta. Parlano il tupi-kawahib, una famiglia linguistica condivisa da numerosi popoli del Brasile.
© Bruno Jorge
Quando il FUNAI li contattò per la prima volta alla fine degli anni ‘80, i Piripkura contavano circa 20 individui. Dopo il contatto ritornarono nella foresta e, da allora, ci sono stati contatti solo con tre membri del gruppo.
Nel 1998 due uomini Piripkura, Tamandua e Baita, uscirono dalla foresta spontaneamente. Uno di loro era malato e venne ricoverato in ospedale.
Durante il breve periodo della malattia, l’uomo raccontò la sua storia e quella del suo popolo, che poco tempo prima era più numeroso ma fu poi massacrato dai Bianchi. Lui e il suo unico compagno rimasto, cominciarono così a spostarsi da soli nella foresta sopravvivendo di caccia, pesca e raccolta.
Non sappiamo se ci siano altri sopravvissuti fra i Piripkura. Ma Tamandua e Baita sono in grave pericolo perché la loro terra è costantemente invasa da taglialegna illegali che bloccano i loro sentieri nella foresta per impedirgli di cacciare.
Il FUNAI ha firmato un’Ordinanza temporanea che vieta a chiunque di entrare nel territorio dei Piripkura senza autorizzazione e bandisce qualsiasi attività economica al suo interno. Ma se il governo non agirà al più presto per demarcare e riconoscere ufficialmente la loro terra, gli ultimi Piripkura potrebbero non sopravvivere.
I Kawahiva del Rio Pardo, Mato Grosso
Sappiamo poco di questo popolo incontattato, ma si pensa che appartenga al gruppo dei Kawahiva. Qualche anno fa il FUNAI aveva stimato che contassero tra i 50 e i 100 individui, ma oggi potrebbero essere di meno.
Si pensa che abbiano smesso di avere figli perché costretti costantemente a scappare per sfuggire a trafficanti di legname e altri invasori.
© FUNAI
Poiché sono sempre in movimento, non possono coltivare la terra e devono dipendere unicamente da caccia e pesca.
La loro terra non è ancora stata protetta e pertanto la loro sopravvivenza come popolo è in grave pericolo. Le loro foreste sono costantemente invase da trafficanti di legname che per la maggior parte operano nei dintorni di Colniza, una delle città di frontiera più violente del Brasile in una delle regioni più deforestate dell’Amazzonia.
I Korubo della Valle Javari
Nella valle Javari, lungo il confine tra Brasile e Perù, vive la maggiore concentrazione di popoli incontattati del Brasile.
© Erling Soderstrom/Survival
Nel 1996 il FUNAI entrò in contatto con un gruppo di 30 Korubo che si erano separati dal gruppo principale, che tutt’ora vive isolato evitando qualsiasi contatto con i gruppi circostanti.
Gli indigeni contattati soffrono per malattie letali introdotte nel territorio dagli esterni e si teme che le epidemie possano essere trasmesse ai gruppi isolati, con conseguenze tragiche.
"L'ultimo della sua tribù", Rondonia
Si pensa che quest’uomo solitario fosse l’ultimo sopravvissuto del suo popolo, probabilmente massacrato dagli allevatori di bestiame che occupano l’area del Territorio Indigeno Tanaru, nello stato di Rondônia.
Non abbiamo mai saputo il suo nome, che lingua parlasse e nemmeno il popolo d’appartenenza.
Era conosciuto come “l’Uomo della buca” a causa delle grandi buche che scavava nel terreno sia per catturare gli animali sia per nascondersi. Rifiutava qualsiasi tipo di contatto.
In passato, nello stato di Rondônia, molti allevatori assoldavano sicari proprio per uccidere gli indigeni incontattati. Nell’agosto 2022, dopo quasi 30 anni di vita solitaria e costantemente in fuga, “l’ultimo della sua tribù” è morto, apparentemente per cause naturali.
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