Le preoccupazioni delle ONG sulla proposta di raggiungere il 30% in aree protette e l’assenza di garanzie per i popoli indigeni e le comunità locali

Le preoccupazioni delle ONG sulla proposta di raggiungere il 30% in aree protette e l’assenza di garanzie per i popoli indigeni e le comunità locali 20

novembre 2020

All’attenzione delle Parti e del Segretariato della Convenzione sulla diversità biologica (CBD):

Siamo preoccupati per l’obiettivo del 30% incluso nella “bozza-zero” del Quadro Globale per la Biodiversità (“zero-draft”, Global Biodiversity Framework):

“Entro il 2030, proteggere e conservare attraverso un sistema ben connesso ed efficace di aree protette
e di altre efficaci misure di conservazione su base territoriale, almeno il 30% del pianeta focalizzandosi
su aree particolarmente importanti per la biodiversità”.1

Sebbene siano certamente necessari impegni coraggiosi per affrontare le emergenze climatica e di biodiversità, riteniamo che questo obiettivo sia controproducente e che potrebbe consolidare ulteriormente un modello di conservazione obsoleto e insostenibile, che potrebbe espropriare delle loro terre e dei loro mezzi di sussistenza proprio le persone meno responsabili di queste crisi.

Ecco le nostre principali preoccupazioni:

• L’obiettivo del 30% è stato fissato senza una valutazione preliminare degli impatti sociali e dell’efficacia della conservazione della precedente iniziativa pari al 17% in aree protette terrestri (adottato dalle Parti al CBD 2010). Le aree protette hanno causato il dislocamento e lo sfratto di popoli indigeni e di altre comunità che dipendono dalla terra, e hanno portato a serie violazioni dei diritti umani da parte delle organizzazioni per la conservazione e delle forze dell’ordine pubbliche e private. Nonostante l’attuale quadro CBD e la bozza GBF post2020 dispongano di includere negli obiettivi di conservazione globali “altre misure efficaci di conservazione su base territoriale”, l’esperienza ha dimostrato che l’opzione standard in gran parte del Sud del mondo è rimasta quella delle aree statali rigidamente protette.

• Sulla base di studi indipendenti sulle zone d’importanza ecologica che con più probabilità verranno proposte per la conversione in aree protette2, stimiamo che potrebbero subire gravi impatti negativi fino a 300 milioni di persone.

Gli obiettivi dell’attuale bozza GBF non contengono, per i programmi di conservazione, misure effettive a protezione delle terre, dei diritti e dei mezzi di sussistenza dei popoli indigeni e delle altre comunità che dipendono dalla terra. Questa lacuna viola le norme delle Nazioni Unite e la legge internazionale.

• La proposta non riflette i risultati dello Studio di impatto globale IPBES 2019, secondo cui le aree protette esistenti “non sono ancora gestite efficacemente ed equamente”, né l’enfasi che pone sulla necessità di proteggere le terre indigene.3

Riteniamo che prima di adottare qualsiasi nuovo obiettivo di conversione in aree protette:

  1. Il GBF deve riconoscere e proteggere i sistemi di proprietà terriera collettivi e consuetudinari, e adottare garanzie rigorose e vincolanti a favore dei popoli indigeni e di altre comunità che dipendono dalla terra, che si applicheranno su tutte le aree protette nuove ed esistenti. Queste misure devono aderire agli accordi internazionali sui diritti umani e garantire i diritti alla terra, alle risorse, all’auto-determinazione e al consenso libero, previo e informato. Prima di prendere in considerazione un qualsiasi aumento delle aree protette, dovrà essere adottato un piano per l’applicazione di tali misure nelle aree protette già esistenti, e dovrà essere istituito un robusto sistema di revisione.

  2. Dovrebbe essere svolta una valutazione indipendente dell’efficacia e degli impatti sociali delle aree protette esistenti al fine di orientare i nuovi obiettivi e le nuove norme nel GBF post2020.

  3. Dovrebbe essere condotto e pubblicato uno studio approfondito sulle potenzialità di una maggior protezione e di un più ampio riconoscimento legale delle terre gestite dagli indigeni e da altre comunità sostenibili, per garantire la miglior conservazione della biodiversità auspicata nell’ambito del GBF post-2020. In base ad esso, il GBF dovrebbe rispecchiare il principio secondo cui la protezione e il riconoscimento delle terre gestite dai popoli indigeni e da altre comunità sostenibili costituiranno a livello locale il meccanismo principale per il raggiungimento della miglior conservazione della biodiversità.

  4. Si dovrà fornire una giustificazione scientifica all’obiettivo del 30%. Dovrà includere una valutazione del suo potenziale di mitigazione del clima, nonché delineare dove tali aree sono previste, quali regimi di protezione saranno applicati e quali gli impatti previsti sulle persone in tali aree.

Grazie per l’attenzione che vorrete dare a queste proposte.

 

Per vedere un elenco aggiornato degli esperti e delle ONG che hanno aderito alla dichiarazione clicca qui.

 

1 Il testo citato è tratto dalla Bozza del quadro di monitoraggio per il Quadro Globale per la Biodiversità post-2020, diffuso prima del 24° meeting del Subsidiary Body on Scientific, Technical and Technological Advice (Organo sussidiario di consulenza scientifica, tecnica e tecnologica): https://www.cbd.int/sbstta/sbstta-24/post2020-monitoring-en.pdf.
2 Schleicher, J., Zaehringer, J.G., Fastré, C. et al. Protecting half of the planet could directly affect over one billion people. Nat Sustain 2, 1094–1096 (2019). https://doi.org/10.1038/s41893-019-0423-y; RFUK (2020) The Post-2020 Global Biodiversity Framework – How the CBD drive to protect 30 percent of the Earth by 2030 could dispossess millions: https://www.mappingforrights.org/MFRresources/mapstory/cbddrive/300_million_at_risk_from_cbd_drive.
3
IPBES (2019) The global assessment report on Biodiversity and Ecosystem Services https://bit.ly/3fHBRcZ.

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